Intervista di Silvia Volpato
AL 50 ottobre 2000

Può essere Jazz, Hip Hop, Funk ma rimane un suono che arriva dall’anima e dalla strada.

“Pace a voi e benvenuti in Jazzmatazz, un esperimento di fusione tra Hip Hop e live jazz. L’Hip Hop, la musica rap, è una cosa vera, che proviene dalla realtà del quotidiano, è un’espressione culturale e musicale basata sulla realtà, come allo stesso modo il jazz è vero e basato sulla realtà. Io sono Guru, sarò la vostra guida in questo viaggio. Guru significa Gifted Unlimited Rhymes Universal…”

Era con queste parole che, nel 1993, Guru apriva l’avventura musicale denominata Jazzmatazz, rendendo evidente, anche agli occhi di chi ancora non lo aveva realizzato, come jazz e Hip Hop non solo abbiano matrice comune, ma soprattutto come i loro destini evolutivi siano indiscutibilmente intrecciati. A conferma di tutto questo c’è un passato incontestabile, ormai già documentato su libri e vinili. C’era Grandmaster Flash che negli anni ‘70 mixava i dischi jazz in dosi massicce a tutti i suoi party, c’erano gli Steatsasonic che omaggiavano Lonnie Liston Smith con la loro “Talkin’ All That Jazz”, c’erano i Run DMC che con “Peter Piper” consegnavano ai posteri “Mardi Gras” di Bob James come il break più rappresentativo della storia ed infine c’erano Herbie Hancock e Grandmixer DST che, fondendo 88 tasti e una consolle da dj, vincevano un Grammy con l’indimenticabile “Rockit”.

Per dirla tutta Guru non ha sperimentato niente che già non fosse stato testato o che altri dopo di lui non abbiano saputo fare con forse ancora maggior cognizione, basti pensare al Brandford Marsalis/Buckshot Le Fonque che ha davvero saputo dare dimensione e spessore al jazz nell’Hip Hop e viceversa. Guru, più semplicemente, lo ha verbalizzato. In sette anni Jazzmatazz è approdato a “Streetsoul”, il suo terzo capitolo, in cui il jazz è diventato definitivamente più un’ispirazione che una colonna portante del lavoro. D’altronde il progetto era passato attraverso entusiasmi ma anche molte difficoltà di comprensione da parte di un pubblico, in particolare quello americano, sempre piuttosto indeciso sul giudizio da dare. Da una parte il mondo del jazz poteva considerare il contatto con il rap come una sozzura su un abito elegante, dall’altra l’Hip Hop relegava in una nicchia tutto ciò che potesse anche lontanamente avvicinarsi alla definizione di ‘sperimentale’ o ‘alternativo’. Rimane il fatto che jazz e Hip Hop conservano un legame naturale, comunque lo si voglia definire e Guru questo lo ha sempre saputo. Non gli bastava il fatto di avere accanto il produttore che qualunque mc sognerebbe e di aver trovato con lui il suono Hip Hop più convincente dell’ultimo decennio; lui cercava “l’alternativa al break di James Brown”, ovvero quello che all’inizio degli anni ‘90 avrebbe salvato l’Hip Hop dalla monotonia, dalla ripetitività. L’Europa, in questo suo viaggio, lo ha sostenuto come la madre patria non ha saputo fare. E’ per questo che così spesso abbiamo avuto il privilegio di vederlo anche sui palchi italiani, sia per Jazzmatazz che con Gang Starr, ed è sempre per questo che AL ha avuto la possibilità di raccogliere più volte i suoi pensieri su queste pagine. Tuttavia vi confermo che è sempre un’emozione sentire quella che è, con ogni probabilità, la voce più bella che la musica rap abbia mai avuto com’è sempre interessante sentire quello che ha da dirci Keith Elam, in arte l’uomo che possiede rime infinite ed universali.

>Credo che ai tuoi ascoltatori sia ormai piuttosto chiaro il tipo di influenza che la musica jazz ha avuto sulla tua vita e sulla tua carriera musicale, vorrei però chiederti ugualmente di approfondire l’argomento e di spiegare qual è la tua visione dello stretto rapporto che intercorre tra jazz e Hip Hop.

“La prima musica che ho incontrato nella vita è stato il funk in realtà, ascoltavo George Clinton, i Bar Kays, Cameo… Il jazz me lo fece conoscere mio zio, George Johnson, a dire il vero era mio nonno, ma io l’ho sempre chiamato zio. Quando ero piccolo passavo molto tempo con lui, ci sapeva fare con i ragazzini. All’epoca ero in ribellione con i miei genitori, facevo un sacco di sciocchezze, frequentavo la gente sbagliata per fare loro dispetto e mi cacciavo nei guai. Mio zio ogni tanto veniva a ripescarmi e mi teneva con sé. Ricordo che mi faceva sedere davanti a queste enormi casse che aveva in casa e mi diceva “Adesso ascolta…”. Metteva su roba come Charlie Parker, John Coltrane, Ella Fitzgerald, Sonny Rollins, Ornette Coleman e continuava a ripetermi: “Questa è vera musica, senti?”. Non sempre ne andavo matto ma la sentivo talmente spesso che mi rimase in testa, incollata. Più tardi mi iscrissi al college ad Atlanta ed è lì che ho imparato veramente a conoscere il jazz, studiandolo. Riportando tutto questo all’Hip Hop c’è da dire che i Gang Starr sono entrati nella scena in un momento in cui si era creato uno stallo. Tutti campionavano i break di James Brown… era la fine dell’87 e tutti si chiedevano dove sarebbe andato l’Hip Hop a quel punto. Gente come Premier, Pete Rock e prima ancora i Tribe, Diamond D, Showbiz, Lord Finesse… questi erano i migliori produttori e lo sono tutt’ora e furono loro a cambiare l’Hip Hop facendogli fare un netto salto di qualità, loro hanno usato per primi i dischi jazz nei campionamenti e lo hanno fatto con uno stile irripetibile. Questi tizi non si sono messi lì a dire ‘dobbiamo usare la musica jazz nell’Hip Hop…’, lo hanno fatto perché sentivano che era una cosa naturale ed è per questo che ha funzionato. Il jazz e l’Hip Hop sono due cose che vanno assieme, si tratta di ritmica, di cadenze, di atmosfere… Fu proprio ritrovare questi elementi in una base Hip Hop che mi fece venire voglia di diventare un mc.”

>Dove sentisti Premier la prima volta?

“La prima volta che lo sentii ero in metropolitana, avevo nel walkman questo demo di un mc che non conoscevo e le basi erano di Primo… ricordo che ad un certo punto non sentivo più quell’mc, ma solo i beat ed ero talmente preso che iniziai a rapparci sopra, lì nella metro…”

>Trovi che ci siano delle forti differenze nel modo in cui il progetto Jazzmatazz è stato accolto in Europa rispetto agli Stati Uniti?

“Nei primi due sicuramente sì, anche perché in America sbagliarono la promozione di quel prodotto, non sapevano proprio da che parte girarselo, ero arrabbiatissimo con l’etichetta. All’epoca quella fu la mia più grande frustrazione: in Europa ero famoso e qui non vendevo una copia, la popolarità e le vendite non sono cose che vanno di pari passo. Per fortuna ho avuto a fianco persone come Premier che hanno continuato a supportarmi, spingendomi a lavorare sempre. Il problema con l’America fu che da allora iniziarono ad etichettarci come un gruppo jazz/Hip Hop, alternativo insomma, e ti assicuro che se non ci fossimo sbarazzati di quell’etichetta io non sarei qui a parlare con te ora. Guarda cos’è successo agli US3, per esempio, sono spariti.”

>E’ uno dei più grossi problemi che anche i Roots hanno avuto con il mercato americano per anni…

“Sì, mentre erano molto popolari in Europa. Quando ti trovi in queste condizioni è difficile capire la strada giusta, io e Primo abbiamo cambiato etichetta un paio di volte e ora siamo piuttosto a nostro agio alla Virgin, ma i problemi nascono tutti da lì; c’è bisogno di gente che capisca quello che stai facendo e che sappia come valorizzarlo. Dare un disco ad un’etichetta è come affidare il proprio bambino a qualcuno, che fai se te lo maltrattano? Impazzisci… Ma, per tornare al discorso del jazz, quello che io ho voluto fare con tutti i Jazzmatazz è stato un po’ dare una svolta al rapporto tra jazz e Hip Hop, portando su un disco Hip Hop tutti i grandi protagonisti dell’epopea jazz che era possibile avere e vedere che tipo di chimica si sarebbe creata. Tra tutti quelli che hanno partecipato al progetto, Donald Byrd è stato quello che mi ha più colpito per l’atteggiamento. Lui ha capito al volo come dovevano andare le cose nel primo Jazzmatazz e ha preso, in un certo senso, in mano le redini del progetto. E’ stato lui a mettermi in contatto con molti altri, scegliendo le persone che meglio si sarebbero adattate al tipo di lavoro… Herbie Hancock ad esempio. Byrd è stato incredibile.”

>Come si è evoluto il discorso Jazzmatazz dal ‘93 ad oggi? “I primi due erano molto più sperimentali. Arrivavo dal sound dei Gang Starr che è molto più minimale, minimale ma grasso ed è stato molto diverso trovarsi a lavorare con gli strumenti e con dei vocalist così diversi tra loro. La mia conoscenza della musica è accresciuta grazie a quello. Ho imparato a fare il produttore esecutivo, a mettere in piedi uno staff.”

>Come inizia il lavoro per gli album di Jazzmatazz, con che criterio?

“Inizio sempre con una ‘wishlist’. Compilo questa lista di gente con cui vorrei lavorare e li scelgo in base alla stima che ho del loro lavoro e in base alla stima che loro hanno dimostrato nei miei confronti. Deve esserci una mutualità perché deve essere spontaneo quello che poi ne esce. Ci si deve divertire a fare musica. Dopo che ho compilato questa lista scelgo un tema da dare all’album. In questo caso ho addirittura voluto abolire il titolo “Jazzmatazz 3” perché trovo che sia un concetto datato ormai. Il tema è appunto ‘Streetsoul’ e così si chiama l’lp.”

>Perché “Streetsoul”? “Perché è questo che è la musica nera e mai come oggi la musica nera sta diventando una cosa sola. Può essere jazz, Hip Hop, funk ma rimane un suono che arriva dall’anima e dalla strada.”

>C’è mai stato un artista con il quale desideravi davvero lavorare ma che non hai potuto avere? Non so, magari qualcuno che è apparso in tutte e tre le liste… “Ti confesso che ogni lista che faccio è decisamente troppo lunga per poter avere davvero tutti quelli che compaiono… Quelli dell’etichetta mi sgridano regolarmente: ‘hey Keith, ma cos’è questa??? Questo non è un elenco, è un mostro!!!’. Molto spesso accade poi che devo rinunciare a qualcuno perché è impegnato nel proprio lavoro, questa è la principale ragione di alcune assenze. Ma se devo dirti una persona, una su tutte, quella è Sade.”  

>Sade! Ho saputo che sta lavorando finalmente ad un nuovo album… “Difatti, è per questo che non ho potuto averla in “Streetsoul”. Pensa che io l’avevo sempre ammirata tantissimo e un giorno ricevetti una sua cartolina. Era il ‘94/’95 mi pare, mi scriveva di essere una grande fan dei Gang Starr e che avrebbe voluto molto partecipare ad un eventuale Jazzmatazz futuro. Non ci potevo credere, l’ho cercata subito ovviamente, ma poi gli impegni reciproci non hanno combaciato… Avrei voluto anche D’Angelo, ma era in tour. Mentre Premier era in studio con lui a registrare “Devil’s Pie” io fremevo per fare qualcosa. Ci siamo promessi di farlo in ogni caso, magari per il prossimo album dei Gang Starr. Tra gli altri che vorrei ci sono Dallas Austin e Dr. Dre. Dre è eccezionale, eccezionale…”

>Hai visto gli ultimi The Source Awards? A parte la rissa, insomma, lui ha vinto proprio tutto.. 

“Sì ho visto, ci dovevo essere anch’io ma sono felice di non esserci andato con quello che è successo… Ti dirò una cosa, l’anno scorso la situazione era molto simile, c’era una tensione pazzesca nell’aria anche se non successe niente. Quest’anno credo che alcuni siano andati lì con la sola intenzione di scatenare l’inferno e questa cosa mi fa una rabbia pazzesca. È stupido perché ci stiamo togliendo da soli le opportunità migliori che la vita ci ha dato. È ridicolo, come quando uccidiamo i nostri stessi leader. La gente ha paura perché basta che ci sia uno a dire una sciocchezza ed un altro ad offendersi che è sufficiente per scatenare un inferno. Ecco perché la gioventù nera porta lo stress addosso, non puoi mai permetterti di non sentire la tensione, se lo fai potresti essere fottuto, anche se vai in un teatro per festeggiare e ritirare un premio…”

>Cosa pensi ad esempio di quello che è stato fatto per l’assassinio di Diallo? Credi che serva, credi che cambierà? “Cos’è stato fatto? Un paio di dischi? Sì, sì, è tutto molto bello ma noi continuiamo a perdere e perdiamo ogni volta doppiamente perché non solo ci facciamo assassinare dagli altri, ma ci uccidiamo tra noi. Tutte queste persone, Tupac, Biggie, Freaky Tah, Big L… Non so, io mi ricordo di quando Biggie e Tupac erano amici, perché ero con loro. Tutto questo è pazzesco e pericoloso, io mi sento in pericolo ma cerco di non pensarci. Faccio quello che devo fare, vado avanti con il mio lavoro.”

>Ok, parliamo di cose più rilassanti… “No, non ti preoccupare, in realtà parlandone mi sento profondamente fortunato perché mi rendo conto che io ho la musica e che questo mi dà la chance di stare lontano dai guai e al tempo stesso la credibilità per essere ascoltato dai ragazzi. Fare rime che contengano un messaggio non significa necessariamente dire cose con uno spessore sociale o umano. Anche un pezzo come quello che feci con Nice&Smooth, “DWICK”, pieno di cazzate serve perché mostra ai ragazzi che cosa si può fare con le parole. Usate le parole ragazzi, sono dei giocattoli bellissimi e delle armi potenti…”

>Tornando per un istante al discorso degli awards… posso chiederti chi è per te l’mc migliore dell’ultimo anno? “Tupac Shakur.”

>…Accidenti, non ci hai pensato nemmeno un secondo… “Sì, vedi, lui non è più con noi ma la gente continua ad ascoltarlo come fosse uscito oggi e comunque lui è uno dei migliori di sempre. Abbiamo ancora tutti molto da imparare da quello che diceva e da come lo diceva.”

>Ascoltando il brano “Guidance” sono rimasta sorpresa dato che lo dedichi ad un bimbo che sta per nascere, a tuo figlio. Deve essere passato già un po’ di tempo dal momento in cui l’hai scritta. È già nato? “Oh sì, mio figlio è nato solo tre settimane fa…” 

>Be’, congratulazioni… “Grazie, davvero. È un maschio, si chiama Casim, Keith Casim. Questa è la cosa più… forte che mi sia mai successa nella vita, come una sveglia che mi è suonata nel cervello. Quando ho visto mio figlio ho visto un piccolo me stesso, ero scioccato. Ma anche aspettare la nascita di un figlio è un’esperienza profonda, ti ritrovi a pregare, a chiedere un sacco di cose per lui. Ho scritto la prima strofa di “Guidance” immaginando di parlare con mio figlio già adolescente, sai, nel momento in cui sta cercando una direzione da prendere. Nella seconda strofa mi rivolgo ai miei fratelli che sono anch’essi padri, perché possano capire la responsabilità, ma anche la fortuna che hanno. Purtroppo crescendo ho visto un sacco di bambini senza padre accanto e vorrei che questo cambiasse per la mia gente, ma allo stesso tempo ho visto dei criminali cambiare vita dopo aver avuto un figlio… “Guidance” ha un duplice significato, proprio come i figli, noi siamo la loro guida e viceversa loro sono la nostra.”

>Prima di salutarti vorrei farti un’ultima domanda; quale credi sarà il ‘prossimo’ suono dell’Hip Hop, la prossima spinta innovativa, se ci sarà?

“Prima di tutto credo che l’Hip Hop si stia diversificando molto a livello regionale. Almeno in America succede che ogni stato abbia il suo rapper o il suo produttore locale, la propria realtà ben definita. Vedo che sta accadendo anche all’estero, mentre prima tutti imitavano molto lo stile americano, ora anche in Giappone e soprattutto in Europa si stanno delineando i tratti di un Hip Hop diverso, più adatto alla vostra cultura ed è questa la strada giusta. Quello che posso dirti è che spero che l’Hip Hop continui a contenere tutte le musiche del mondo, come da sempre fa, ma al tempo stesso credo che la prossima spinta innovativa sarà più culturale che sonora. La cultura di ogni paese che ha accettato l’Hip Hop ne cambierà il suono.”