di Alberto Castelli
AL 44 marzo 2000

“Era l’anno dei Run DMC e quando ho ascoltato un dj fare delle cose incredibili con “Sucker MC’s”, allora ho capito che nell’Hip Hop c’era quello che cercavo. Sicuro…” (Dj Funkmaster Flex)

Quell’anno era il 1983 e “Sucker MC’s” era la facciata B di “It’s Like That”, il primo singolo dei Run DMC per la Profile. Un ‘mix’ pesante, uno di quelli che aprivi facendoli scorrere sui pantaloni o passandoci le unghie (che tempi…). La copertina era completamente rossa, il logo della Profile ricordava quello di una squadra di baseball e il suono era davvero potente. I bassi ti arrivavano allo stomaco, come quelli del reggae, Run e DMC avevano stile ed energia mentre Jam Master Jay costruiva con i piatti un vero e proprio muro del suono. Un botto. Pubblicato in America il ventuno maggio, quel singolo raggiunse a mani basse le prime venti posizioni delle classifica R&B e lo stesso avvenne con i singoli successivi, “Hard Times” e “Rock Box”. Era solo l’inizio. Nel giro di pochi anni, infatti, i Run DMC nel 1984 con il loro album d’esordio diventarono il primo gruppo rap a conquistare un disco d’oro (un simpatico oggetto che ti danno in America quando vendi più di mezzo milione di copie). Nel 1985 “King Of Rock”, il loro secondo lavoro, è stato il primo album rap che ha ottenuto il disco di platino (un più che simpatico oggetto che ti danno sempre in America quando superi il milione di copie vendute). Quando poi nel 1986 i tre pubblicarono “Raising Hell” i dischi di platino (un pieno di simpatia…) diventarono un piccola collezione. Fu allora che tutta, ma propria tutta, l’America si accorse di loro. Un botto clamoroso, almeno quanto la loro versione di “Walk This Way” degli Aerosmith, la stessa che celebrò spavaldamente l’incontro tra due culture fino a quel momento lontane, quella del rock e quella dell’Hip Hop. Fu allora, solo allora, che MTV cominciò a trasmettere anche video Hip Hop, mentre migliaia di adolescenti americani scoprivano letteralmente un altro mondo. In quei giorni Run, il cui vero nome è Joseph Simmons e DMC, le iniziali di Darryl Mc Daniel, avevano solo ventidue anni, Jam Master Jay (nome d’arte di Jazon Mizell) ne aveva addirittura uno di meno. Loro in quel mondo c’erano da sempre. Da quando tutto era cominciato. Run correva insieme a suo fratello Russell (si, quel Russell Simmons che poi diventerà il Berry Gordy dell’Hip Hop con la Def Jam) da un club all’altro, scriveva rime su rime e catturava con lo sguardo i primi maestri, gente come Kurtis Blow, Afrika Bambaataa, Whodini, Grandmaster Flash e la Sugarhill Gang.

Queste furono le radici, ma i Run DMC sono stati fin dal primo momento qualcosa di diverso. Se gli altri della vecchia scuola, soprattutto Bambaataa, sfoggiavano vestiti che ricordavano il funk totale di George Clinton e dei suoi Funkadelic, i Run DMC vestivano solo di nero. E tutto quello che indossavano era Adidas (ricordate “My Adidas”?). E se il suono di quella vecchia scuola riprendeva spesso il funk più classico, i Run DMC rispondevano con un beat semplice, profondo, scarno e duro. Erano sfrontati e aggressivi. Erano quelli che in “It’s Like That” esclamavano: “… la cosa sta così/ che vi piaccia o no.” Erano quelli che raccontavano New York, che invitavano a muoversi, che sovrapponevano beat pesanti e assoli di chitarre, ma che con “Proud To Be Black” (brano che non a caso apre “Louder Than A Bomb”, l’antologia curata recentemente da Chuck D) anticiparono di qualche anno i Public Enemy. Con l’esplosione di “Raising Hell” le cose cambiarono radicalmente. I Run DMC scoprirono nel giro di qualche anno che c’è solo una cosa che è più difficile di arrivare in cima: rimanerci. Nel 1988 incisero “Thougher Than Leather”, cui seguì un film dal titolo omonimo (nel cinema avevano comunque esordito tre anni prima partecipando a “Krush Groove”, al fianco di Kurtis Blow, Beastie Boys e Fat Boys) che si rivelò un disastro ed i risultati peggiorarono due anni dopo con “Back From Hell”.

La scena era cambiata. Nuovi protagonisti avevano preso il sopravvento e la loro vita precipitò all’inferno. Darryl aveva seri problemi con l’alcool, Run fu accusato di stupro. Come era accaduto più volte nella vicenda musicale afroamericana, i due trovarono rifugio nella religione. Quando Run fu assolto decise di diventare un predicatore, mentre il suo fratello di rime riuscì ad uscire da quell’incubo. “Down With The King” (1993) ha segnato il loro ritorno. A celebrarlo, tra gli altri, c’erano anche gli EPMD, Pete Rock, i Naughty By Nature, Q-Tip e perfino Tom Morello dei Rage Against The Machine. Il reverendo Run ha poi prodotto una raccolta dedicata a nuovi talenti del gospel e del rap, mentre poche stagioni fa Jason Nervis ha spopolato con una versione remix (piuttosto fastidiosa, detto tra noi) della vecchia e gloriosa “It’s Like That”. È  stato comunque bello, pochi mesi fa, rivedere quei tre, sempre vestiti di nero, ma con il viso segnato, in una pagina pubblicitaria di una rivista che annunciava l’uscita di “Crown Royal”, il loro nuovo album. È stato bello, ma vedendo i loro visi, quei giorni, la Profile e “It’s Like That” e “Hard Times” e “King Of Rock”, sembravano ancora più lontani. Com’era quella rima? La cosa sta cosi/che vi piaccia o no…