Di Silvia Volpato
AL 30 Agosto – Settembre 1998

RA il Dio del Sole secondo la civiltà  egizia, Kimet: l’antico nome dell’Egitto. Insieme si fondono in Rakim…

“Io credo che dall’Egitto arrivi l’origine stessa della vita, alla Mecca  ebbe inizio tutto, lì si trovano le fondamenta. Sono convinto che i primi esseri umani siano nati in quell’area geografica e che le prime tracce di intelligenza umana siano rappresentate dai geroglifici e delle piramidi. Ancora oggi queste cose sono un mistero per noi e quindi è chiaro che parliamo di creature speciali, con un’intelligenza superiore, esseri che senza l’aiuto di alcun macchinario hanno saputo costruire monumenti incredibili in linea con le costellazioni. Il punto perché io credo che per conoscere sé stessi si debba sempre cercare l’origine delle cose. Questo discorso naturalmente va esteso anche all’Hip Hop…ad esempio, alcune settimane fa, ho organizzato un piccolo torneo di basket nel quartiere dove sono nato, sai, per i ragazzini, e ho voluto che fossero presenti anche personaggi  come i Cold Crush Brothers e i Funky Four Plus One. Li ho voluti invitare perché parlassero ai giovani, perché loro sono l’origine del rap e la gente deve capire da dove viene ciò di cui tutti ora parlano tanto. Non bisogna mai dimenticare da dove si è arrivati, le radici sono importanti, anche per capire la strada futura. Le origini vanno rispettate”.   

Una cosa è chiara fin da subito: parlare con Rakim significa inserirsi in una nuova dimensione dove nulla è lasciato al caso, ogni elemento possiede il suo significato e dove fede e sete di conoscenza regnano sovrane.

Sul suo braccio è tatuato il numero 7, circondato dalle lettere che compongono il suo nome; il 7, nuovamente, è il numero del sole, ma c’è di più, per Rami 7 sono i fori attraverso i quali la mente percepisce il mondo: due occhi, due orecchie, due narici, una bocca. Questo, e tanti altri piccoli, grandi particolari fanno di lui una persona ed un artista speciale. Apparentemente sono infinite le domande da sottoporgli, ma il succo del discorso perché, comunque, le risposte le abbiamo già e sono tutte nelle sue liriche, nella sua musica. Come solo un grande MC può fare “the Ra” ha sempre raccontato se stesso e il suo credo in ogni rima, come lui stesso ha spesso ripetuto, ogni piccola cosa nella sua mente viene convertita in Hip Hop. Conoscere i suoi testi è il modo migliore per capire la sua essenza e sicuramente l’unico modo in cui lui vuole essere ascoltato dal mondo. 

“The crown couldn’t wait to see this/Nobody been most awaited since Jesus/Who wouldn’t believe this/I heard the word on the street is/I’m still one of the deepest on the mic since Adidas/They said I changed the times from the rhymes that I thoughta/So I made some more to put the new world in order/With mathematic, put your status above the average/And help you rappers  make paragraphs with graphic.”

“Il pubblico non vedeva l’ora del mio ritorno/Nessuno, dai tempi di Gesù, è stato atteso cosi a lungo/Per chi non ci avesse creduto/Io ho sentito che sulla strada/Sono ancora considerato uno dei più profondi al microfono del tempo delle Adidas/Hanno detto che ho cambiato i tempi con le mie rime/cosi ne ho scritte altre per fare un po’ d’ordine in questo nuovo mondo/Con la matematica vi porterò al di sopra della mediocrità/E  aiuterò voi rappers a comporre paragrafi per mezzo della geometria .”
(da “It’s been a long time”, 1997)

Se nell’Hip Hop esistono delle regole, queste possono essere dettate solamente dal talento, solo chi ha talento stabilisce il livello sul quale confrontarsi ed i confini da superare, solo attraverso il talento si può aspirare alla perfezione, in qualunque disciplina. Se esiste un MC, nella storia, che ha dimostrato in modo assoluto di che sostanza sia fatto il talento questo è senza dubbio Rakim. Tuttora, a dodici anni di distanza dall’inizio della sua carriera e dopo ben cinque  di silenzio, lui rimane l’uomo da battere. 

Cinque anni: cosi a lungo Rakim è stato in silenzio eppure quando qualche tempo fa la rivista The Source chiese ad un pubblico mondiale di votare per decidere chi fosse il migliore MC di tutti i tempi nessuno ebbe indugi: era ancora, ed è sempre, Rakim Allah.

Quando Rakim apparve nel 1986 accanto ad Eric B il suo rap era davvero un’altra cosa rispetto a ciò che circolava nelle strade. “Eric B is President” e “My melody” cambiarono i tempi a tutti gli effetti. Innanzi tutto il loro beat era di diverse battute più lento rispetto allo standard, inoltre Rakim si presentava con un’immagine che contrastava quella dei suoi colleghi. Era serio, poco sorridente di fronte alle platee, concentrato su ciò che la sua voce un po’ nasale scandiva chiaramente, sempre concentrato sulle sue parole. Questa fu la vera rivoluzione: le parole. In un’epoca nella quale la musica rap aveva ancora il sapore del gioco  Rakim elaborò i semi della coscienza sociale portati da gente come Melle Mel,  Granmasterflash ed i Furious Five, parlò di Dio e dei profeti, avvicinò la dottrina dell’Islam ai ragazzini e alla gente di strada, spiegò l’importanza del sapere nonché  la bellezza, la vastità dell’intelletto umano. Rakim portò l’intelligenza, meglio: fece diventare “stiloso” l’essere intelligenti e il saper usare bene le parole, e questo fu importante non solo per l’Hip Hop in sé, quanto piuttosto per il destino di un’intera generazione  di giovani afroamericani che aveva  a che fare con un buon tasso di analfabetismo e che era stata di recente iniziata all’uso dell’ultimo prodigio della chimica moderna: la cocaina “in rocce”, al secolo il crack.

L’onda d’urto provocata da un LP come “Paid in Full” attraversò l’oceano e giunse anche dalle nostre parti. Per molti, moltissimi, questo segnò una svolta. Le capacità e la potenza lirica di Rakim svelarono a tutti le possibilità dell’arte dell’Mcing; fu un inizio per tanti, per altri il passaggio ad una nuova era.

Leader per autodefinizione, “Soul Controller” per natura, Rakim è cosciente del potere che, da sempre,  esercita sulle persone che lo ascoltano e ci tiene a chiarire il proprio ruolo in questo senso: “Io non sono e non voglio essere un esempio da seguire per nessuno. I vostri genitori dovrebbero essere i vostri esempi. Lo dico sempre ai ragazzini; potete rispettare quello che faccio ma dovete ascoltare quello che dicono vostra madre e vostro padre. Mi rendo conto di avere una responsabilità per ciò che scrivo nei miei testi, ma vorrei pensare di essere una guida piuttosto che un modello da seguire. Quello che voglio dire è che esiste una grossa differenza tra il capire le mie parole e l’imitare il mio modo di vivere. Io sono un artista, uno che scrive liriche, le mie parole sono la mia essenza e la mia verità. Come essere umano, nella vita, io posso inciampare e qualche volta cadere, ma non è questo che voglio che faccia la gente che mi segue. Voglio che ascoltino la mie parole, il mio sapere, ciò che ho studiato. Quindi, se mi dite che sono un esempio per la mia saggezza, allora, e solo allora, accetterò e assumerò questo ruolo.”

Siamo noi a fare le domande, ma inevitabilmente è lui a prenderci per mano e a condurre il gioco con la classe di un campione, è lui a decidere dove andare con le parole…e quasi sempre si viaggia in profondità, molto spesso oltre…

“You’re a step away from frozen/stiff as if you’re posin’/Dig into my brain as the rhymes get chosen/So follow me, I’ll have ya thinkin’ you were first/Let’s travel at magnificent speeds around the universe/What can you say as the earth gets further and further away/Planets are small like balls of clay…/So keep staring, soon ya suddenly see a star/You better follow ‘cause it’s the R.”

“Sei ad un passo dal congelarti/sei rigido come se stessi posando/scava pure nel mio cervello mentre le rime vengono scelte/Ti ho sorpreso mentre pensavi di essere il migliore, perciò adesso seguimi/Viaggiamo a velocità incredibili nell’universo/Cosa mi dici ora che la terra si allontana sempre di più/ed i pianeti si fanno piccoli come granelli di polvere…/Continua a guardare, presto vedrai apparire una stella/Farai meglio a seguirla, perché quella è la R.”  (da “Follow the Leader”, 1988)

Tra il 1986 ed il 1992 sono quattro gli album targati “Eric B & Rakim” che si abbattono su un’audience sempre crescente, quattro vere pietre miliari che permettono a Rakim di splendere davvero come un astro nel firmamento dell’Hip Hop. L’ultimo LP è “Don’t Sweat the Technique”, 1992 appunto, poco più tardi Rakim partecipa alla colonna sonora di “Juice”, quello sarà il suo ultimo pezzo per tanto, troppo tempo. La separazione con il collega viene sancita ufficialmente dall’uscita dell’album solista di Eric B, ma di Ra più nulla. Voci e pettegolezzi di varia natura si sovrappongono inutilmente, qualcuno tenta la via della calunnia: è finito in carcere, spaccio di droga dicono…naaa, roba vecchia, avevano provato a farcelo credere già qualche anno prima, ma lui stese tutti rispondendo con una di rima: “If I go to jail, it won’t be for selling keys, it’ll be for murdering MCs…” (“Se mai andrò in carcere non sarà per avere spacciato, sarà per aver assassinato MCs”). Quindi noi aspettiamo. Vero è anche, che in questi cinque anni le teste Hip Hop di tutto il mondo si trovano impegnate nell’assorbire l’enorme ondata di nuovi volti, nuove voci, nuovi stili…ma lui, a detta di tutti, lascia un vuoto che viene silenziosamente, quasi religiosamente conservato libero. E’ il ‘95 quando si intravede un suo possibile ritorno; escono alcuni mixtapes americani contenenti dei brani inediti, arrivano anche dei vinili più o meno clandestini, subito si alza un polverone…poi, di nuovo, più nulla: “La verità è che all’epoca  stavo lavorando ad un album vero e proprio. Successe però che troppe persone, tra cui lo staff della MCA (ex etichetta di Rakim, n.d.r.), ebbero accesso al mio materiale, così alcuni brani uscirono dallo studio a mia insaputa. Fu proprio la MCA che si sentì in diritto di vendere i miei pezzi che finirono su diversi mixtapes, anche Hot 97 iniziò a suonarli, assieme ad altre radio di New York. Questo mi atterrò completamente, capisci cosa voglio dire? Quelli erano appena dei demo, ci stavo ancora lavorando. Erano all’incirca  sei o sette brani, iniziarono a viaggiare per le strade di NY ed alcuni arrivarono anche qui in Europa. Praticamente quel materiale rappresentava il 90% del mio album in una fase embrionale. L’unica cosa che potei fare fu distruggere quasi tutto e rimettermi giù a tavolino”.

Altri due anni di lavoro quindi tengono Rakim lontano dalla scena. All’inizio dell’estate ‘97 è sulla bocca di tutti il suo ritorno. Come ci aveva lasciato, con una colonna sonora, così Rakim riappare, si tratta questa volta di quella per il film “Hoodlum”. Il brano che da il titolo all’album porta la sua firma accanto a quella dei Mobb Deep…da non credere; vecchia e nuova scuola sono insieme ed è davvero crema per i nostri palati.

A questo punto non si sta più nella pelle, ma Rakim è uno che le promesse le mantiene…qualche mese dopo esce “The 18th Letter”, davvero uno degli album più attesi nella storia dell’Hip Hop.  Lo esaminiamo, ancora un po’ increduli, ma felici e avidi come bambini che hanno scoperto dove la mamma ci nascondeva le caramelle, quelle più buone, naturalmente…Contiene 10  tracce più 2 rmx corredati da “The Book of Life”; una raccolta dei migliori successi passati di cui lui stesso ci spiega la presenza: “Sono stato lontano dalla gente per quasi cinque anni, là fuori ci saranno senz’altro dei ragazzini che non conoscono la mia storia. Ci sarà anche qualcuno che ha bisogno o voglia di ripercorrere la strada passata. Ho semplicemente voluto ricordare alla gente chi sono, da dove vengo, che cosa ho fatto con la mia musica, sai, rispolverare un po’ la storia e riportarla alla luce per il futuro.”

Una delle migliori capacità di Rakim è sempre stata quella di dipingere, attraverso le rime, immagini intense e brillanti nel tentativo di utilizzare tutti i colori presenti sulla tavolozza e tutte le sfumature possibili. Non c’è argomento che le sue liriche non abbiano affrontato, dalla guerra all’amore per le donne, dalle battaglie al microfono all’origine dalla vita. “The 18th Letter” rispecchia pienamente questo stile, come lui stesso sottolinea: “…cerco sempre di creare un’alchimia che funzioni nei miei album. Sono stato in tour per diversi anni ed ho realizzato di avere un pubblico molto vasto e con gusti differenti. C’è chi ama ballare sui miei dischi, ci sono le teste underground che vogliono un flava più duro, c’è chi mi ascolta per il significato dei miei pezzi e poi ci sono le donne che amano e rispettano il mio lavoro. Cerco di mettere sempre insieme tutti questi elementi, anche se non potrò mai accontentare tutti, esiste una buona parte di audience verso la quale posso indirizzare la mia musica.” Entrando nello specifico sui singoli pezzi dell’album, l’argomento finisce sul brano “New York”: “Viviamo in un’epoca” ci spiega Rakim” nella quale l’Hip Hop è davvero diventato universale. Ci sono persone di ogni paese che lo rappresentano e io ho sentito di dover ricordare a tutti la storia e la posizione della mia città, far capire a tutti come si vive, si sente e si rappresenta l’Hip Hop da noi”. Tuttavia sappiamo che alcuni anni fa lui e la sua famiglia lasciarono NY per trasferirsi nel Connecticut. Mentre parliamo di questo la moglie di Rakim, che non lo ha mai abbandonato un istante, annuisce e sorride in direzione del marito che ci spiega: “Prima vivevo sulla strada capisci, nei projects, ma ora ho tre figli, li ho voluti portare fuori dal ghetto per mostrare loro una vita migliore e allo stesso tempo cercavo un posto più rilassante per me stesso, volevo cose tipo un giardino, sai, un prato con i cani che possono correre intorno…ho vissuto l’inferno per buona parte della mia vita e ad un certo punto ho sentito il bisogno di spostarmi…”.

Tornando all’album non possiamo non chiedere a the Ra qualcosa sul suo brano più profondo “The Mystery, who is God?”. “ Sì, ci sono tante cose in quel pezzo, l’ho scritto per tutte le persone religiose, per chi vuole nutrire la propria coscienza e il proprio intelletto, ma anche per tutti coloro che hanno un punto interrogativo in testa, sai: chi è Dio, da dove veniamo, domande di questa natura. Allo stesso tempo, lì parlo di ciò che io studio ogni giorno della mia vita e di quello in cui credo con tutto me stesso. Quel brano lo sento davvero mio, se anche non dovessi più fare nient’altro, sapendo di avere scritto “The Mystery” sento comunque che la mia esistenza è completa…e poi c’è un’altra cosa…io lo dovevo ad Allah”. Ma è davvero troppo facile liquidare così in breve il rapporto di Rakim con la religione, decidiamo di parlarne più tardi, intanto si prosegue il discorso sul lavoro dell’ultimo LP e ci spostiamo a discutere delle produzioni. Campionatori illustri come quelli di dj Premier, Clark Kent e Pete Rock hanno partecipato all’opera e, tempo fa, si parlava anche della presenza di RZA e Dr. Dre, ma ancora una volta Rakim porta il discorso ad un altro livello. “Anche Shahy (Father Shah, n.d.r.) ha prodotto per me, è sua la base di “The 18th Letter”, e poi “The Mystery” è di Naughty Shorts, c’è anche un altro fratello; Nick Wiz che ha prodotto “Show me love”. Il punto è questo, io cerco solo il flava, se è Clark Kent che può darmelo va bene, se un altro fratello di cui nessuno ha mai sentito parlare può fare altrettanto, io sono soddisfatto ugualmente. Non vado a comprare i beats da chi ha un nome. Se tu hai un beat che mi piace, io voglio quel beat, non mi interessa il nome, per me funziona così”.

“I was a fiend before I became a teen/I melt the microphone instead of cones of ice cream/Music orientated so when Hip Hop was originated/Fitted like pieces of puzzles, complicated/’Cause I grab the mic and try to say yes y’all/They try to take it, they say that I’m too small…”

“Ero un avversario prima ancora di diventare un ragazzino/Facevo sciogliere il microfono invece dei  coni gelato/Ero orientato verso la musica, così quando nacque l’Hip Hop/Mi ci incastrai come il tassello di un puzzle, ma come un puzzle era complicato/Perché io prendevo il microfono e cercavo di dire “yes y’all”/Ma loro me lo toglievano, dicevano che ero troppo piccolo…”  ( da “Microphone Fiend”, 1988)

“Piccolo, ero così piccolo quando iniziai…è stato tanto tempo fa, prima ancora dell’uscita del primo disco rap: “King Tim The III”, io rappavo molto prima di quel disco….sono sempre stato un fanatico e un avversario del microfono, sono sempre stato un “microphone fiend”, è una cosa radicata in me da sempre. Quando io ero veramente un bambino,  succedeva che stavo in giro con gli amici e, sai, ad un certo punto sentivo un beat arrivare da qualche angolo della strada e allora gli correvo incontro, lo cercavo. Magari ero lì con i miei jeans tutti sporchi perché ero stato chissà dove e probabilmente avevo anche il moccio che mi colava dal naso e arrivavo da questi che avevano la musica e chiedevo: “yo, yo datemi il microfono, posso avere il microfono?” e questi mi dicevano cose del tipo: “Hey shorty, piccoletto, togliti dai piedi, vai a giocare a basket, vai da un’altra parte, tanto tra un’ora devi tornare a casa dalla mamma!”. Capisci? E’ da qui che arriva l’essenza del mio rapporto con il microfono, è una cosa conflittuale. A quel punto io e la mia crew venivamo sempre cacciati e allora combinavamo di tutto; prendevamo a calci le casse, staccavamo le spine oppure ci versavamo sopra dell’aranciata, qualsiasi cosa pur di ridurre al silenzio il microfono che noi non potevamo avere…ero così piccolo…e poi la musica ha sempre fatto parte della mia vita” prosegue Rakim “ il mio genere preferito è il jazz. Mia madre amava cantare, cantava di tutto dal jazz all’opera. La musica è sempre stata nella mia casa; quando mi alzavo al mattino c’era musica, la sera andavo a dormire e ancora c’era musica. Era l’epoca della Motown e mi ritengo fortunato per essere cresciuto durante un periodo così bello. Iniziai anche a suonare qualche strumento, ma quando arrivò l’Hip Hop io ero ancora molto giovane e tutta la mia energia musicale finì nell’Hip Hop e per l’Hip Hop”. 

Qualche anno più tardi avverrà l’incontro, quasi casuale, con Eric Barrier, un incontro grazie al quale Rakim farà il suo ingresso definitivo nel mercato discografico, un incontro senza il quale, paradossalmente, Ra non avrebbe mai preso sul serio la propria attitudine al microfono, come lui stesso ci racconta: “Io e lui ci  siamo incontrati per motivi strettamente legati al business e purtroppo il nostro rapporto è rimasto su quel livello. Come posso spiegarti…non siamo cresciuti assieme, non abbiamo mai dovuto mettere assieme i nostri spiccioli per comprarci un sacchetto di patatine da bambini, non siamo mai stati assieme sulla strada senza un soldo in tasca…non abbiamo conosciuto l’inferno assieme. Siamo semplicemente stati presentati per lavoro da un amico comune; lui lo portò a casa mia e disse: “Hey, questo è Eric, voi due potreste lavorare assieme e fare un disco!”. Io all’epoca rappavo già da molto tempo  e così mi dissi che forse, dato che mi si presentava questa possibilità, avrei potuto provare. All’inizio infatti era solo “Eric B featuring Rakim”, pensa che non volevo nemmeno firmare il contratto! Il fatto è che a quel tempo il mio scopo era quello di giocare a football in un college. L’idea di fare un disco poteva anche allettarmi, ma non ne ero affatto convinto. Eric mi parlò a lungo e mi spiegò che avrei potuto apparire solo come ospite sul suo disco, anche senza firmare nulla, e che comunque avrei avuto i soldi che mi spettavano. Andò così in principio.”

“Eric B is President” e “My Melody” furono registrati con questo spirito. Marley Marl li produsse e li lanciò via etere tramite quello storico programma condotto accanto a Mr. Magic che era “Rap Attack”. Mi azzardo a dire che il resto fu storia.

Certo è che dai tempi in cui dj ed mc lavoravano fianco a fianco ed erano “Paid in full”, di acqua sotto i ponti ne è passata davvero molta. Lo testimonia il fatto che, dopo la loro separazione, Rakim è rimasto bloccato da innumerevoli problemi legali poiché il suo ex collega non accettava di firmare il contratto che lo avrebbe lasciato libero di seguire una carriera solista. Eppure Eric, a suo tempo, ebbe la sua opportunità di realizzare un album da solo, operazione che si rivelò piuttosto fallimentare e che lo portò quindi a continuare la carriera come produttore (ora la sua etichetta è la “Street Life”, per intenderci quella dell’ultimo album di Craig Mack “Operation: Get Down”). Oggi le loro strade si sono divise in modo inequivocabile, ma Rakim fatica molto a parlare di ciò che successe con Eric. Sembra quasi non trovare le parole per farlo, molto probabilmente gli manca la voglia di ricordare e c’è da giurare, tra l’altro, che il suo rapporto con Eric B sia l’argomento sul quale più spesso i media, e non, di mezzo mondo hanno scatenato la loro curiosità. Alla fine le sue parole rimangono piuttosto generiche, misurate, e tuttavia molto, molto chiare: “Io ed Eric avevamo diversi punti di vista, differenti visioni dell’Hip Hop. Io volevo seguire una precisa direzione, lui voleva cose diverse, così arrivammo al punto in cui io fui costretto a dirgli “ok Eric, tu fai le tue cose e io farò le mie”, però poi ci furono anche molti problemi legati al contratto…..se noi due fossimo stati amici prima di lavorare assieme le cose sarebbero andate diversamente. Penso che ci sarebbe stata più comprensione tra di noi anche a livello professionale e forse ora avremmo ancora rispetto l’uno per l’altro, anche dopo i problemi legali. Non è andata così, vedi, io oggi sono in Italia da solo. Gli auguro ancora il meglio ma…”Eric B & Rakim” non esisteranno mai più”.

“Since the world metamorphis, and the planet’s kept in orbit/Turntables we spin off but the needles never skip off it/Rhythms we’re expressin’ similar to our ancestors/It’ll answer your questions if you understand the message/From the days of slave choppers, to the new age of prophets/As heavy as Hip Hop is I’m always ready to drop it/From the mind which is one of Allah’s best designs/And mines will stand the test of time, when I rhyme”.

“Dal tempo in cui il mondo subì la propria metamorfosi, ed il pianeta entrò nella sua orbita/Noi abbiamo continuato a far girare i piatti senza che la puntina uscisse mai dal solco/Esprimendoci attraverso ritmi simili a quelli dei nostri avi/E questo risponderà a tutte le tue domande, se riuscirai a coglierne il messaggio/Dai giorni in cui le mannaie venivano usate sugli schiavi, sino all’era dei nuovi profeti/Sono sempre pronto a diffondere il messaggio, pesante come l’Hip Hop sa essere/Un messaggio che arriva diretto dalla mente, che è una delle migliori creazioni di Allah/E la mia vincerà le prove del tempo, ogni volta che farò rime”.  (da “The 18th Letter”, 1997)

Il tempo e lo spazio alle volte si dissolvono nelle parole di Rakim, perdono le loro proprietà conosciute per fondersi in un messaggio universale, eterno.

Rakim sembra essere una persona in armonia con il mondo, condizione questa raggiungibile solo da chi sa di possedere le risposte, solo da chi è sorretto da una fede incrollabile. La fede di Ra è l’Islam, è Dio in tutte le sue forme, è l’uomo, è se stesso.

Il fatto stesso di farsi chiamare “Allah” è per lui un riconoscimento nei confronti di Dio che ha generato l’uomo a sua immagine. Qualunque sia il nostro credo Rakim pare dirci che, sotto questa luce, gli esseri umani sono stati creati per essere grandi, forse perfetti, e che ognuno deve avere coscienza delle proprie capacità (“Knowledge of Self”), deve saperle coltivare ed elevare. Questo hanno insegnato il Corano e la Bibbia a Rakim, ma come successe?

“…Voglio partire proprio dall’inizio per spiegartelo. Vedi, io sono nato nel ‘68, molto spesso mi sono ritrovato a parlare di quell’epoca con i miei genitori. Tutti sappiamo che fu un periodo di rivoluzioni e di distruzione, per l’intera umanità. Molti leaders furono uccisi: Martin Luther King, Malcolm X, John F. Kennedy…furono tutti assassinati e le emozioni della gente, soprattutto della mia gente, erano forti e terribili. Io in quei momenti ero nel corpo di mia madre, ma un bambino sente le emozioni e le vibrazioni…fu così, io so che dentro di me porto anche ciò che provava mio padre la notte in cui fui concepito. Sono nato in un momento orribile per il mio popolo e durante la mia infanzia ho conosciuto l’ingiustizia, ma allora non lo potevo capire, ero troppo piccolo. Avevo bisogno di una guida, di qualcuno che mi prendesse per mano e mi spiegasse…l’Islam era lì, mi ci aggrappai con tutte le mie forze e da allora non l’ho più lasciato andare. Credo che Allah mi abbia guidato e mi abbia mostrato il mondo per com’è veramente. Capisci cosa voglio dire. io ora sono in Italia, ho iniziato nell’86 e da allora sono usciti così tanti artisti, ma io sono ancora qui, nonostante la mia assenza di 5 anni. Sono tornato e sto raccogliendo abbracci da tutto il mondo, capisci, tutto il mondo! Deve essere Allah, la sua benedizione mi accompagna ed io continuerò a seguirlo. Per questo ho voluto portare il Messaggio con l’Hip Hop. Quando iniziai a parlare di queste cose nei miei testi la gente non capiva veramente. Io ho cercato di metterla in un modo semplice, accettabile da tutti, così che non si pensasse che io stavo lì a predicare. Adesso molta gente sta riprendendo i concetti della Five Percent Nation e tutto il resto”. 

Soprattutto i Wu Tang, aggiungiamo noi, cosa pensi di questo?

“Sì, anche i Wu. Penso che sia un bene, forse ora la gente dirà: “bé, allora Rakim non era un fanatico solitario”. E’ un bene perché credimi, ancora oggi, solo la maggioranza viene presa sul serio.”

Già, conveniamo, questo ancora non è cambiato però tante altre cose si, soprattutto nell’Hip Hop molto è cambiato, si è trasformato, a volte per progredire, altre per regredire. Qual è la visione di Rakim in questo senso?

“Bé, oggi la scena è molto più varia, ci sono un sacco di MCs là fuori. La cosa più importante è che ognuno di noi sappia tirare fuori il proprio talento. Ci sono molti problemi al mondo, ma è fondamentale ricordare che l’Hip Hop è un’arte, non si può fare troppa politica. Quando succede purtroppo perdi l’amore e la passione che ti spingono a scrivere. L’ho sperimentato anch’io; all’inizio per me rimare era un divertimento, ma poi è diventato il mio lavoro e prima che tu te ne renda conto la politica entra nella tue arte e ne porta via l’anima. So che molti MCs vivono situazioni tremende ogni giorno della loro esistenza e sentono di doverne parlare nei testi, ma questo è Hip Hop! E’ la cosa che amiamo di più ed è nato proprio per farci dimenticare i problemi. Succede così a tutti suppongo, quando stai male ti dici: “ok, mettiamo su un bel disco così non ci pensiamo più!”. La musica è nata per portare via la guerra, ma oggi la gente mette la guerra nella musica. Se vuoi trovare un po’ di pace oggi non puoi quasi ascoltare l’Hip Hop, devi cercarti un vecchio disco r&b o jazz o soul, cioè quello che noi campioniamo, le nostre origini.  Bisognerebbe riportare tutto indietro a quando era un divertimento. Non voglio dire che la politica sia sbagliata, ok parlatene pure, ma non in tutti i pezzi, lasciate più spazio al vostro talento, alla creatività, bisogna amare l’Hip Hop…cos’è l’Hip Hop? L’ Hip Hop…è una cultura. Non si può parlarne solo come un genere musicale perché è un modo di vivere. Vedi, i fratelli là fuori erano Hip Hop molto prima che il primo disco rap uscisse perché questo è uno stile di vita, è il nostro modo di indossare un vestito, di allacciarci le scarpe, è un modo di camminare, di parlare, è il nostro modo di fare le cose. Capisci, per un dj, ad esempio,  non si tratta solo di muovere avanti e indietro un fader, è il feeling che trasmetti che conta, è quella sensazione che hai sotto la pelle…va tutto talmente oltre la musica. E’ così, è una cultura che ci definisce, è un modo di mettersi in relazione con gli altri, è espressione, è essere…ma se devo semplificare ancora di più, allora vi dirò che l’Hip Hop siamo noi.
Word up! Rakim Allah. Pace”.